Ha speso tutta la sua vita sotto uno spesso strato di tessuto scuro, Mariam.
I primi e ultimi occhi che si sono poggiati sul suo viso tondo e sulla sua carne scoperta sono stati quelli neri e indecifrabili di una madre lontana da sé stessa e dal mondo. Nessun altro sguardo ha mai più incrociato il suo dal giorno in cui un rivolo di sangue tiepido le inumidì i calzoni corti e sporchi. Una striatura color succo di ciliegia che definì in poche ore la cifra della sua esistenza. Nessuno era pronto alla sua bellezza e così il mondo la cancellò, la rese un errore, una macchia scura in un paesaggio assolato.
Mariam aveva dodici anni quando fece conoscenza con la sua seconda pelle, una pelle non sua che qualcun altro le costrinse addosso. Ancora ricorda la prima volta che l’indossò: era ruvida, calda, pesante e lei ci camminava dentro goffa e insicura.
Nessuno l’ha più guardata, Mariam. Non ci sono mai più stati occhi estranei ai suoi che abbiano osservato le linee morbide della sua carne. Nessuno sguardo l’ha mai più cercata, accarezzata, desiderata o disprezzata. Non ci sono stati occhi nella sua vita, neppure quelli distanti ed indifferenti degli sconosciuti. Eppure lei di occhi ne ha visti, spesso si affaccendava a fissarli e seguirli di nascosto tra le esili fessure della sua seconda pelle. Era il suo gioco preferito, la divertiva pensare d’essere una cacciatrice di sguardi, lei, invisibile al mondo e distante dalla vita ma indistruttibile come una leonessa che fissa la sua preda.
Molti sono stati gli sguardi che hanno riverberato nella sua anima ingenua e smosso la sua immaginazione. Quelli bruni e arcigni del vecchio Memet, riflessi di una terra troppo spesso inospitale; o quelli nocciola scintillanti oro e libertà di Latifa, che mescolava in un corpo solo l’esotismo magrebino e la sfrontatezza europea; o quelli grigi e nostalgici dei bambini del deserto, dove le giornate sono troppo simili le une alle altre e la malinconia inghiotte tutto, anche la fantasia.
Tanti occhi e migliaia di sguardi si sono intrufolati tra le pieghe scure della veste di Mariam e l’hanno accompagnata nel suo percorso, aiutandola a trascorrere il tempo di una vita distante e lasciandole nell’anima, qua e la, delle tracce esili e resistenti. Come germogli verdi e vivi mai divenuti piante, degli abbozzi di desideri mai espressi, mai toccati, mai visti nella loro compiutezza.
Solo uno sguardo crebbe in lei più degli altri. Fu quello di Kamal, figlio primogenito del più ricco commerciante di spezie del paese. Kamal era poco più grande di Mariam quando, all’età di diciannove anni, si trasferì con il padre ad Amazraou. I suoi occhi verdi e turbolenti come le acque del fiume le rapirono il cuore. Ogni qualvolta gli era vicino, iniziavano a tremarle le mani che lei prontamente nascondeva sotto la veste, preoccupata che lui se ne potesse accorgere. Cercava sempre un modo per vederlo, anche se si trattava di pochi secondi. Come quando prese l’abitudine di svegliarsi prima la mattina ed impastare il pane più velocemente, così d’avere il tempo per mettersi seduta sull’uscio impolverato della sua casa e vedere Kamal camminare, bello e sicuro, verso il negozio del padre.
Lo cercava e quando non lo trovava, lo immaginava ardentemente. Oggi ricorda con un sorriso distante e bugiardo quando, sola con il suo desiderio, si stringeva nelle calde maglie scure della sua seconda pelle e poi provava vergogna per aver sognato quegli occhi selvaggi verde smeraldo che non l’hanno mai vista.

Oggi è diversa, Mariam. Tanti, troppi giorni sono passati da quando la sua fantasia e la sua giovinezza la mantenevano viva e indistruttibile all’interno di un mondo che la rinnegava. Oggi per lei la giovinezza è un ricordo mai vissuto e la fantasia è un vento serale che l’ha lasciata sola, fuggito via attraverso le imperfezioni del suo burqa.
A volte, mentre impasta il pane, si guarda le mani e pensa che tutta la sua vita è passata da lì e lì si è fermata. I suoi sogni, i suoi dolori, la fatica del lavoro, l’ebbrezza del vento invernale, la sabbia ruvida, la freschezza dell’acqua del fiume, la morbidezza dell’impasto del pane, le carezze dell’erba verde come gli occhi di Kamal. Ha vissuto attraverso le sue mani, Mariam. E queste si sono caricate la responsabilità di un’esistenza mutilata da un mondo spaventato.
A volte le guarda e pensa che non erano così grosse, spesse e nodose. Da bambina aveva dita gracili e affusolate, mani da custodire con sacralità, come si custodisce qualcosa di bello. Ma la vita ha voluto altro. Ha previsto che queste mani si prendessero cura di lei e le facessero assaggiare quanto più possibile la vita di un mondo che l’escludeva.
Oggi, a volte le guarda e le bacia, trovando ancora il modo d’esser grata alla vita.

(Foto: Woman with Three Loaves di Irving Penn, 1971)