Istruzioni per l’uso:
1. Sedersi in una stanza, possibilmente da soli
2. Indossare delle cuffie e premere play
3. Alle prime note, iniziare a leggere il testo
(00:00)
In realtà, non riesco mai a trattenere le lacrime quando ascolto questo pezzo.
C’è tutto il mondo dentro, c’è tutta l’esperienza umana.
Quei violini siamo noi,
è il movimento del nostro vissuto,
è la frenesia, la frivolezza, la bontà, i sorrisi degli estranei, il canto dei passeri.
È la meraviglia della scoperta, la scoperta che genera il caos, il caos che inspira la creazione, la creazione che muove il mondo ed il cosmo dentro di noi. Noi, Dei del giorno e della notte, uomini e donne, rondini di primavera, scampoli di felicità che saltellano sulla superficie immortale delle cose, del sentimento, di questa melodia ampia e bruna di fondo. Un orizzonte che riflette la profondità del vivere, gli abissi dell’esistere, lo spazio universale, infinito ed oscuro, dove l’esperienza perde senso. Noi, animali compiuti, perdiamo il senso e la misura del mondo. La misura di noi stessi. Vaghiamo, continuando a saltellare. Fragili. Vigili. Gocce limpide di pioggia nel mare. Rugiada di foglia. Nel ritmo dei violini tutte le pulsioni della nostra ricerca. Incessante, furiosa, a volte squallida, ma sempre al ritmo del soffio del mondo.
(00:58)
E basta proprio una folata di vento invisibile a cambiare il volto del vissuto. La realtà si capovolge. Quella melodia profonda diventa metafora pura della forza della nostra resistenza. Ed i violini rumori acidi, spine aguzze che penetrano nella carne. Ferite, lacerazioni dell’animo del bambino che non ci lasciano mai. Ininterrotto prurito di cicatrici indelebili. Anche in un giorno di primavera, specialmente in un giro di primavera, quando la vita rivela il suo sentire furioso. Perché più è brillante la luce, più scure sono le ombre delle cose del mondo. La melodia di fondo è fiorita in superficie e si fa sovrana. Fiume, mare, oceano. Sono io, sei tu. Siamo noi, nell’incessante cammino divenuto paesaggio. Corrotti, ma impavidi come l’orizzonte. Oltre l’orizzonte. In quel luogo dimenticato dove la vita diventa impeto d’amore, slancio, bisogno d’assoluto.
(01:46)
E poi otto stridii, grida mortali nell’eco immortale. L’ombra della fine che ci sfiora il busto nudo. Abbiamo superato la paura ed il dolore. I suoni si uniscono in un’unica melodia. Ci uniamo alla vita, perché siamo una sua espressione. Come due amanti che respirano all’unisono, la nostra voce si fa parola ed alito del mondo. Non c’è sofferenza, non c’è distacco, ma solo redenzione in questo tutto universale. Siamo un solo essere, un solo esistito, un unico tempo. La melodia siamo noi. È il canto primordiale suonato da tutti i violini del mondo. È il suono dell’unica anima che ci racconta la verità. Abbiamo vissuto la moltitudine ma non il tutto, c’è ancora terra da calpestare, amore da dare, parole da dire. Siamo noi. E siamo vivi.
(02:28)
Musica: Max Richter, reinterpretazione de “Le quattro stagioni – Primavera 1o movimento” di Antonio Vivaldi.
Nella foto: “Ejiri nella provincia di Suruga”, dalla serie “Trentasei Vedute del Monte Fuji” di Katsushika Hokusai